Carlo Vulpio
22 settembre 2008
VAL D'AGRI (Potenza) — Texas
o Lucania Saudita, ormai i luoghi comuni si sprecano, per la Basilicata che
galleggia sul più grande giacimento di petrolio dell'Europa continentale e
sul gas. Qui, nel parco nazionale della Val d'Agri, dove non c'è la sabbia
del deserto ma il verde degli orti e dei boschi, tutto è di primissima
qualità: olio, vino, carne, fagioli, miele, nocciole. E anche il petrolio,
che si estrae da quindici anni, è di ottima qualità. I 47 pozzi del
giacimento della Val d'Agri custodiscono, dicono le stime ufficiali, circa
465 milioni di barili (finora ne sono stati estratti quasi 11 milioni), che
al valore corrente di 90-100 dollari al barile formano un tesoro da quasi 50
miliardi di dollari.
Ma la Basilicata, che produce l'ottanta per cento del petrolio estratto
in Italia, non si fermerà a quello della Val d'Agri, estratto dall'Eni.
Dal 2011 comincerà a sfruttare — con Total, Esso e Shell — i giacimenti di
Tempa Rossa, poco più a nord: altri 480 milioni di barili, altri 50 miliardi
di dollari. Ed è pronta a far trivellare anche Monte Grosso, proprio a due
passi da Potenza, dove c'è altro petrolio per 100 milioni di barili. E poi
farà scavare nel Mare Jonio, nelle acque di Metaponto e di Scanzano, dove
dai templi greci si vedranno spuntare piattaforme petrolifere come nel Mare
del Nord.
Nessuno, ancora fino a qualche anno fa, e nonostante i giacimenti della Val
d'Agri, avrebbe scommesso che nel sottosuolo lucano e nei fondali jonici
fosse nascosta tutta questa ricchezza. Dopo l'intuizione di Enrico Mattei,
che tra gli anni 50 e 60 venne qui a cercare petrolio e trovò «soltanto»
gas, l'idea che la Basilicata potesse davvero essere un enorme serbatoio di
petrolio era per lo più giudicata un volo della fantasia.
Invece i sondaggi e le trivelle si sono spinti fino
nelle viscere della terra, a tre-quattromila
metri di profondità, e hanno trovato il mare nero che cercavano. Come non
essere contenti? Sembrava l'annuncio dell'inizio di una nuova era, per la
Basilicata e per il Mezzogiorno d'Italia, per la questione meridionale e per
il federalismo fiscale, per il lavoro ai giovani e per la fine
dell'emigrazione.
E infatti, all'inizio, tutti erano contenti.
Dicevano: «Pagheremo meno la benzina, come in Valle d'Aosta, dove costa la metà senza che si produca una goccia di petrolio. E pagheremo meno anche le bollette della luce e del gas». Dicevano: «Con le royalties del petrolio avremo strade e ferrovie, che qui sono ancora quelle di un secolo fa». Dicevano: «Finalmente non saremo più costretti a emigrare, avremo il lavoro a casa nostra». Dicevano: «Si metterà in moto un meccanismo virtuoso, da cui tutti trarremo vantaggi. Il petrolio è la nostra grande occasione». Dicevano tutte queste cose, i lucani. Che oggi non dicono più. La delusione ha frantumato i sogni, lo scetticismo ha svuotato la speranza. E il petrolio, da grande risorsa per la grande occasione, sta diventando sempre di più una maledizione.
E infatti. Il lavoro manca come prima. Le opere infrastrutturali nessuno le ha ancora viste. Mancano i fondi per i prestiti agevolati agli imprenditori, anche stranieri, che volessero investire in Basilicata. Il costo della benzina non ha subìto sconti. Il risparmio sulla bolletta del gas è solo apparente. La gente, soprattutto i più giovani, continua a emigrare: negli ultimi quindici anni a Grumento Nova, 2.500 abitanti, la popolazione è diminuita di un quarto, mentre da tutta la regione — che ha poco più di 570 mila abitanti — si continua a emigrare al ritmo di quattromila persone all'anno. E l'aria, l'acqua e persino il rinomato miele della Val d'Agri sono sempre più a rischio perché sempre più «ricchi» di idrocarburi.
Il petrolio puzza, e in tutta l'area del Centro olii di Viggiano l'odore
è forte e si sente: è normale, sono gli idrocarburi policiclici aromatici e
l'idrogeno solforato dovuti alla produzione e al trasporto del petrolio (che
però adesso avviene attraverso un oleodotto di oltre cento chilometri che
porta il greggio alle raffinerie di Taranto). Ciò che non è normale è che in
Italia i limiti di emissione di idrogeno solforato siano diecimila volte
superiori a quelli degli Stati Uniti e che il monitoraggio di queste
sostanze in Val d'Agri avvenga solo due o tre volte l'anno. Ciò che non è
normale è il valore altissimo delle «fragranze pericolose per l'uomo»
(benzeni e alcoli) trovate nel miele prodotto dalle api della Val d'Agri,
come sostiene una ricerca dell'università della Basilicata pubblicata
dall'International
Journal of Food Science and Technology. Ciò che non è normale è che all'Arpab,
l'Agenzia regionale di protezione ambientale, non crede più nessuno, tanto
che c'è chi ha deciso di fare da solo. Come il Comune di Corleto Perticara,
che l'anno scorso ha ceduto a Total per 99 anni, e per 1,4 milioni di euro,
il diritto di superficie su un'area di 555 mila metri quadrati in cui
realizzare il Centro olii, ma che si è dotato (finora unico comune fra i 30
interessati all'estrazione di petrolio) di un proprio sistema di
monitoraggio ambientale.
L'accordo tra Eni e Basilicata prevede ben 11 progetti «compensativi»,
del valore di 180 milioni di euro, per la sostenibilità ambientale, la
formazione e lo sviluppo culturale. E il vicedirettore generale dell'Eni,
Claudio De Scalzi, vanta i seguenti risultati: «Royalties per 500 milioni di
euro già versati, con un potenziale di 2 miliardi per i prossimi anni se si
riuscirà ad arrivare a uno sviluppo completo dei campi della Vald'Agri.
Centotrenta tecnici lucani assunti e altre 30 assunzioni in corso. Trecento
ditte lucane dell'indotto in rapporto con l'Eni, di queste 60 lavorano in
modo continuativo con la società».
Ma a guardare bene i numeri si fa presto a capire che si tratta di «piccoli
numeri». A cominciare dalle royalties, il 7% (il 4% se il petrolio è
estratto in mare), tra le più basse del mondo. Quando già nel 1958 Enrico
Mattei considerava «un insulto» il 15% che le Sette Sorelle versavano ai
Paesi produttori e parlava di «reminiscenze imperialistiche e
colonialistiche della politica energetica». Tanto è vero che oggi — in
Venezuela, Bolivia, Ecuador — i contratti vengono rinegoziati per portare le
royalties oltre il 50%.
Più «vantaggioso», almeno in apparenza, l'accordo stipulato nel 2006 dalla
Regione Basilicata con Total, Esso e Shell per i giacimenti di Tempa Rossa,
che, tra le altre cose, dovrebbe consentire alla Regione di dotarsi di un
sistema di monitoraggio ambientale da 33 milioni di euro (a riprova che
finora su questo fronte non s'è fatto nulla) e di fornire gratuitamente
tutto il gas naturale estratto (con un minimo garantito di 750 milioni di
metri cubi) alla Società energetica lucana, interamente a capitale
regionale. L'effetto immediato sarà una bolletta del gas meno cara, almeno
di un buon 10%. Ma non per tutti lucani. Ne beneficeranno solo i pochi
allacciati alla rete del metano. Già, perché il gas c'è, ma dove va se non
ci sono le condotte?