L’Unità, 20 dicembre 2008
di Claudia Fusani
I 113 faldoni
e i 33 indagati dell'inchiesta giudiziaria Toghe lucane. Oppure il miliardo di
barili di petrolio nella pancia della Basilicata che sono l'8 per cento del
fabbisogno nazionale. O la stupefacente longevità della classe politica lucana:
sei deputati, sette senatori di destra e di sinistra che fanno politica da
sempre, il senatore a vita Emilio Colombo, l'onorevole Salvatore Margiotta,
Romualdo Coviello, quasi tradizioni di famiglia con un'unica sorgente di vita:
la Democrazia cristiana.
Possiamo partire da qui, da queste tre caselle per raccontare
il
grande gioco d'affari, il Monopoli della Lucania che oggi diventa, con il caso
Napoli e quello Abruzzo, una delle tre lame che si conficcano nella carne viva
del Pd sotto il nome questione morale. Il fatto è che fuori dai confini di
questa regione non ti aspetti che il Texas d'Italia, che tutti ci invidiano,
possa essere quasi l'origine della questione morale.
«Una regione
di qualità e un territorio d'eccellenza», è scritto nel timbro della Regione.
Balle, tutte rigorosamente balle. Peggio: affermazioni che «fanno venire
l'orticaria» a un sacco di gente. Don Marcello Cozzi, responsabile
dell'associazione Libera ha affidato la sua rabbia alle 458 pagine del libro
«Quando la mafia non esiste-malaffare e affari della mala in Basilicata», cinque
edizioni tutte esaurite da maggio,
una nuova Gomorra scritta
da un prete lucano
per nulla amato tra i notabili della città ma invitato dagli emigrati a Berlino
e a Innsbruch per parlare del suo libro. L'economista Nino D'Agostino alza la
voce se appena dici «Basilicata isola felice»:
«E' la più grande
mistificazione organizzata dal ceto politico italiano».
La Lucania è di per sé «una
questione morale». Anzi, è il paradigma della questione morale che sta
travolgendo il Pd.
Al palazzo di
Giustizia di Potenza il pm John Henry Woodcock e il gip Rocco Pavese continuano
gli interrogatori dei dieci arrestati per le tangenti alla Total, multinazionale
che sta trivellando nel giacimento di Tempa Rossa. L'inchiesta è figlia di
un'altra indagine, quelle Toghe Lucane (33 indagati tra politici,
amministratori, magistrati e investigatori tra cui Luisa Fasano, moglie
dell'onorevole Margiotta) per cui è stato chiesto il giudizio per una sfilza di
reati, dall'associazione a delinquere alla corruzione passando per la turbativa
d'asta e il peculato.
Raccontano, i 113 faldoni di Toghe lucane, il comitato d'affari che, secondo il
pm De Magistris, in Lucania ma non solo aveva mani e faceva affari ovunque: se
c'era un reato il magistrato nascondeva, il poliziotto avvisava l'indagato, il
politico di destra e di sinistra continuava a fare pastette. Tutti insieme
allegramente, per anni, e che nessuno disturbi il manovratore. Finché arriva il
pm Woodcock che già un bello scossone al sistema lucano l'aveva dato nel 1994
con un'altra inchiesta chiamata Iena 2. C'è un giro vorticoso, in queste
faccende giudiziarie, di indagati che diventano difensori e poi magari senatori
o deputati. Nicola Buccico, ad esempio, ex del Csm in quota An, è indagato in
Toghe lucane ma oggi anche difensore dell'imprenditore Ferrara, presunto motore
delle tangenti Total nonché sindaco di Matera. Filippo Bubbico, diessino di
razza, è indagato in Toghe Lucane ma anche senatore del Pd. Luisa Fasano, ex
capo della mobile di Potenza, è indagata in Toghe Lucane ed è moglie di
Margiotta (nella foto) indagato per le tangenti Total: Woodcock ne ha chiesto
l'arresto, la Camera ha detto no.
C'è poi, anche Vito De Filippo, Pd, ex Margherita, presidente della Regione
indagato prima e adesso di nuovo per le tangenti Total anche se per reati
accessori. Giovedì in consiglio ha avuto una specie di crisi di nervi: «Basta,
non ce la faccio più questo è un complotto». Sembrava volesse dimettersi.
Sembrava. E dire che ha tutta la giunta dimissionaria di fronte alle fabbriche
chiuse e ai migliaia senza lavoro. Il gioco di ruolo, controllori che diventano
controllati e viceversa, potrebbe andare avanti a lungo. Il paese è piccolo, si
dirà. Sbatte il pugno sul tavolo del bar del Grande Albergo Nino D'Agostino.
«Quello lucano - dice -
è un grande sistema blindato di corruzione».
La diagnosi è spietata: «In 60 anni non c'è mai stato ricambio di ceto politico
e gli assessori
regionali sono anche funzionari della Regione.
Tutto ruota intorno alle
clientele per cui non conviene a nessuno restare fuori e quindi denunciare.
Qui il
clientelismo si è evoluto in affarismo per cui non basta più trovare lavoro al
figlio di chi te lo chiede e poi ti porta i voti ma tutto questo deve anche
produrre grandi affari possibilmente per pochi». La corruzione non è solo
tangenti, insiste l'economista, «è anche
gestire risorse
pubbliche in modo clientelare
per cui un sistema economico in piena recessione come quello lucano diventa
l'isola felice». Modi così antichi e mimetizzati che poi rischiano di non avere
sempre un rilievo penale e di trasformarsi in condanne. «Ed è per questo che
bisogna pretendere dalla politica un cambio netto dei suoi protagonisti e dei
loro metodi», dice don Marcello che tutti i giorni ha a che fare con clientele,
promesse di lavoro in cambio di silenzio, storie di usura dove l'usuraio è il
potente che neppure ti immagini.
Don Marcello è andato a vedere cosa c'è dietro droga, usura, disagi. Nel suo
libro racconta le mille contraddizioni di queste regione, i 200 condannati
definitivi per mafia in meno di 15 anni, i morti ammazzati su cui non sono state
fatte indagini, i politici indagati ma sempre al loro posto.
«A
chi fa comodo - si chiede - che questa terra sia raccontata come l'isola felice
mentre le gente scappa in cerca di lavoro?
Chi controlla
- ad esempio - che non vengano fatte estrazioni in nero dai pozzi? Perché non ci
sono le strade?». Scriveva Carlo Levi, che Mussolini mandò al confino nei
calanchi tra Grassano e Aliano: «Nessuno ha toccato questa terra se non come un
conquistatore o un nemico o un visitatore in comprensivo». Cristo s'era fermato
a Eboli. Adesso in qualche paesino della val d'Agri. Per arrivare in Lucania c'è
solo una strada, il treno arranca e a volte a Salerno passa il testimone al bus.
Meno male che c'è la Fiat a Melfi e la Natuzzi divani a Matera altrimenti,
nonostante la ricchezza di materia prime, nessuno ha saputo creare una
manifattura. Tanto si va a lavorare nel pubblico e l'agricoltura è assistita. Il
turismo dà fastidio. In certi paesi non arriva l'acqua che pure viene venduta
alla Puglia. E neppure il gas che qui sotto ha giacimenti enormi. E lo chiamano
Texas d'Italia. La Lucania saudita.